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Che fai papà?

(foto di Alessandra)
Il titolo di questo post è la domanda che da quasi un paio di mesi mia figlia mi rivolge puntualmente e con una frequenza, per certi versi, inquietante: "Che fai papà?". Cammino, sto fermo. Leggo, scrivo. Guardo un film, mangio. La domanda è sempre una e improvvisa: "Che fai papà?". Anche nel cuore della notte, mentre il mondo riposa, dalla culla si leva una vocina e una domanda: "Che fai papà?". Non so il motivo, so che mi trovo quasi sempre costretto a rispondere. Perché il suo sguardo è serio. Insomma, non è una frase detta tanto per dire qualcosa. Non è un gioco. La sua domanda esige una risposta puntuale e certa. E se mi scappa una risata - perché in certi frangenti capita - la sua domanda non cambia. A cambiare è l'interlocutore: "Mamma, che fa papà?". E così sono costretto a rispondere. Almeno 92 volte su cento, in modo anche sincero. Alle volte dicendo pure parole che forse neanche comprende ancora. Ma c'è quell'otto per cento di volte in cui non riesco a dir nulla. Sono momenti in cui sono alla ricerca di qualcosa con la mente e la sua domanda mi fa vivere stati di profonda assenza da me stesso. Quel suo "Che fai papà?" mi piomba addosso come un macigno. Ci sono anche volte in cui magari sto oziando mentre dovrei portarmi avanti con il lavoro.... e zachete! Ecco lei arrivare con la fatidica domanda: "Che fai papà?". E mi sento tremendamente in colpa se magari sto guardando Instagram al telefonino mentre il dovere mi chiama. Ogni tanto alla domanda "Che fai papà?" rispondo riproponendo la stessa domanda: "E tu che fai Rosa Maria?". Lei, allora, mi guarda silenziosa e... mi abbraccia. Per la serie: abbiamo trasmesso.

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